Contenuto in: Rivista di Archeologia XLIII-2019 -
pp. 127-140, Figg. 6
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L’articolo individua un approccio metodologico per lo studio delle iscrizioni antiche, in particolare quelle conservate in luoghi diversi dal contesto per cui furono inizialmente prodotte (le cosiddette alienae). Il Museo Lapidario Maffeiano, il più antico museo epigrafico del mondo, fondato a Verona nella prima metà del Settecento, funge da caso di studio per indagare come le sue iscrizioni non locali (ovvero non veronesi) furono trattate sia da Scipione Maffei, il fondatore della raccolta pubblica, che dagli studiosi successivi. Mentre nel Corpus inscriptionum Latinarum Theodor Mommsen criticò aspramente Maffei per aver fornito informazioni insufficienti sull’origine geografica delle iscrizioni, un’analisi accurata della documentazione primaria, edita e inedita, consente di sanare, almeno parzialmente, tale lacuna. In particolare, alcune fonti d’archivio relative al ruolo svolto da Venezia come mercato per le antichità nel XVIII secolo, esaminate alla luce della storia degli studi classici, consentono di individuare la sequenza di ‘situazioni epigrafiche’ in cui i monumenti iscritti furono esposti nel corso del tempo. Soltanto ricostruendo a ritroso il ‘ciclo di vita’ delle iscrizioni, dalla loro collocazione attuale al contesto cronologico e geografico per cui furono originariamente prodotte, si può comprendere il loro pieno valore come fonti per la conoscenza della storia.
This article suggests a methodological approach to the study of ancient inscriptions, specifically those kept in locations different from their place of initial installation (the so-called alienae). The Museo Lapidario Maffeiano, the first epigraphic museum in the world, founded in Verona during the first half of the 18th century, serves as a case study to investigate how its non-local (i.e. non-Veronese) inscriptions were treated both by Scipione Maffei, the museum’s founder, and by later scholars. While in the Corpus inscriptionum Latinarum Theodor Mommsen severely criticized Maffei for providing insufficient information on the geographic origin of inscriptions, a thorough examination of published and unpublished primary sources partially fills this gap. In particular, archival documents related to the role played by Venice as a marketplace for antiquities in the 18th century, combined with works from the history of classical scholarship, help us reconstruct the succession of ‘epigraphic situations’ in which inscribed monuments were displayed across time. Only by tracing back the ‘life-cycle’ of inscriptions, from their present location to the time and place in which they were originally produced, can their comprehensive value as historical sources fully be appraised.